Guardiamo un dj suonare per una serie di ragioni complesse e profondamente radicate nella natura stessa della musica, della performance e dell’esperienza sociale.
Anche se, come fai notare, il dj tipicamente non suona uno strumento melodico o armonico tradizionale in senso stretto, non compone nuove melodie sul momento, non scrive testi davanti al pubblico e non canta.
L’apparente semplicità dell’atto – selezionare e far suonare musica preregistrata – nasconde una stratificazione di competenze, creatività e impatto emotivo che costituisce l’essenza di questa forma d’arte performativa.
Il primo livello da considerare è quello della curatela musicale attiva e contestuale. Un dj non è un jukebox passivo; è un archeologo, un archivista e un narratore sonoro. La sua abilità fondamentale risiede nella selezione. Questo implica una conoscenza enciclopedica della musica, spesso spaziando attraverso decenni, generi, culture e sottogeneri.
Guardiamo un dj suonare e spesso manco sappiamo perché
Ma la vera arte non è solo nel possedere questa conoscenza, bensì nel saperla applicare in tempo reale a un pubblico specifico, in uno spazio specifico, in un momento specifico. Il dj costruisce una narrazione, un viaggio emotivo e fisico attraverso i brani. Decide l’ordine, il flusso, le transizioni tra stati d’animo. Questa costruzione di un set è paragonabile alla scrittura di un copione o alla regia di un film, dove ogni brano serve a portare avanti la storia complessiva e a suscitare emozioni precise nel pubblico.
La selezione diventa un atto creativo perché il significato e l’effetto di un brano cambiano radicalmente a seconda di ciò che lo precede e di ciò che lo segue. Un classico soul anni ’60 assume un peso completamente diverso se mixato dopo una traccia techno minimalista. Il dj, attraverso la selezione e la sequenza, riscrive contestualmente la musica che utilizza. Il secondo pilastro è la tecnica performativa del mixaggio e della manipolazione sonora in tempo reale.
Qui si svela la dimensione più fisica del djing, anche se lo strumento è un mixer, dei giradischi o un software. L’atto fondamentale è il beatmatching: sincronizzare perfettamente il ritmo di due brani diversi per permettere una transizione fluida. Storicamente fatto ad orecchio, manualmente, richiede un’abilità acustica e una sensibilità tattile straordinarie. Anche con l’aiuto del sync digitale, l’allineamento perfetto rimane cruciale. Ma il mixaggio va ben oltre la semplice sincronizzazione.
Coinvolge l’uso sapiente delle frequenze, l’arte dei dj: il dj taglia i bassi di un brano per far spazio a quelli dell’altro, modula le medie per fondere le armonie, gestisce gli acuti per creare chiarezza o atmosfera.
Utilizza il crossfader o i channel fader per dosare con precisione millimetrica il volume relativo delle due tracce. Applica effetti non come orpelli decorativi, ma come strumenti espressivi per enfatizzare momenti, creare suspense o trasformare temporaneamente il suono.
Può creare loop per estendere una parte o costruire tensione, può saltare a cue point precaricati, può “tagliare” manualmente il suono. Tutte queste azioni sono eseguite simultaneamente, in tempo reale, richiedendo una coordinazione occhio-mano-orecchio estremamente sviluppata, una profonda conoscenza della struttura dei brani e una capacità decisionale istantanea. È una performance fisica e mentale intensa, visibile nell’agilità delle mani, nella concentrazione e nell’ascolto critico dell’output sonoro e della reazione della folla. Questo ci porta al terzo elemento cruciale: l’improvvisazione e la lettura del pubblico.
Guardiamo un dj suonare e spesso ci mettiamo a giudicare. Non dovremmo ballare?
Un dj non esegue un copione fisso. La sua performance è un dialogo continuo e non verbale con l’energia della folla. Deve essere un lettore empatico degli stati d’animo collettivi. È la folla stanca? Serve un’iniezione di energia? È troppo agitata? Forse serve un momento più profondo per riportare l’equilibrio. Qualcuno in pista ha fatto una richiesta particolare che potrebbe funzionare? Il dj osserva, ascolta, sente l’atmosfera e reagisce di conseguenza, deviando dal percorso pianificato o sfruttando un’intuizione del momento.
Questa capacità di improvvisare la narrazione musicale, di cambiare rotta all’istante basandosi sul feedback immediato, è una forma di creatività performativa unica. Trasforma il dj da semplice riproduttore a conduttore, a figura centrale della pista da ballo, capace di guidare e modellare l’esperienza collettiva. Il set diventa un organismo vivente che si evolve in simbiosi con il pubblico. Inoltre, la distinzione tra dj e creatore è sempre più sfumata. La quarta dimensione è quella della produzione e del remixing live. La stragrande maggioranza dei dj di successo oggi sono anche produttori musicali.
Nei loro set i dj inseriscono regolarmente i propri brani originali, remix ufficiali o bootleg.
Questo trasforma il loro dj set in una presentazione della loro identità artistica compositiva. Ma anche senza essere produttori, molti dj praticano il live remixing: utilizzando strumenti aggiuntivi come drum pad, sampler o sintetizzatori, aggiungono layer ritmici, effetti sonori, melodie campionate o bassline create al momento sopra le tracce che stanno suonando. In questo modo, stanno effettivamente componendo o riarrangiando in tempo reale, utilizzando i brani altrui come materia prima per creare qualcosa di nuovo e unico per quella specifica serata. È una forma di composizione istantanea e performativa. Infine, c’è la dimensione spettacolare e rituale. Guardare un dj suonare è intrinsecamente coinvolgente per l’occhio.
Guardiamo un dj suonare e abbiamo la paletta in mano, come a Ballando con le stelle…
C’è una teatralità nei movimenti: la rapidità e precisione con cui maneggiano i controlli, la gestualità che accompagna i momenti chiave, la concentrazione visibile, l’interazione carismatica con la folla. È la performance di un direttore d’orchestra dell’era digitale, che dirige energie sonore ed emotive. La sua postazione è il centro rituale attorno a cui si sviluppa l’energia collettiva della pista. Guardarlo lavorare è parte integrante dell’esperienza, aiuta il pubblico a connettersi con la fonte del suono che li sta muovendo, a comprendere la complessità dietro il flusso apparentemente senza soluzione di continuità. Si assiste alla trasformazione di una selezione passiva in un evento attivo e vivo.
Il dj diventa il catalizzatore, il… facilitatore dell’esperienza collettiva di ascolto e movimento. Il suo strumento, in definitiva, non è il singolo brano, ma l’intero archivio musicale a sua disposizione, la tecnologia di mixaggio e manipolazione, e soprattutto, il pubblico stesso e la sua energia. La sua arte sta nel saper fondere questi elementi in un momento unico, effimero e potentemente condiviso. Per questo, anche senza cantare una nota o suonare un assolo di chitarra, guardare un maestro dj al lavoro rimane un’esperienza affascinante e ricca di significato artistico e sociale.
Riccardo Sada X Sada Says 17 giugno 2025