“Digitalogia”: Gabriele Gobbo racconta l’AI / Sada Says

Che roba è la Digitalogia?

Andiamo con ordine. L’intelligenza artificiale ha già varcato la soglia degli studi di registrazione e si è seduta comodamente dietro le console dei club più trendy d’Europa. Non è più fantascienza, è cronaca quotidiana di un’industria musicale che ha deciso di vendere l’anima al diavolo digitale, barattando creatività umana con efficienza algoritmica. La domanda che dovremmo porci tutti, artisti e ascoltatori, è semplice quanto inquietante: siamo ancora in tempo per salvare ciò che resta dell’arte musicale o abbiamo già oltrepassato il punto di non ritorno? La morte della musica elettronica nell’era dell’intelligenza artificiale è dietro l’angolo. Ed ecco che l’algoritmo sostituisce l’anima.

Le risposte arrivano sempre da esperimenti tanto illuminanti quanto agghiaccianti. Gabriele Gobbo, amico, esperto di comunicazione digitale e vicepresidente del Digital Security Festival, ha raccontato nel suo saggio “Digitalogia” (c’è anche il sito https://digitalogia.it/) come sia riuscito a creare una canzone completa utilizzando esclusivamente strumenti di intelligenza artificiale. Testo generato da un algoritmo, musica composta da una macchina, voce sintetica che interpreta il brano con una credibilità tale da ingannare chiunque. Il risultato? Una traccia orecchiabile, coinvolgente, persino emozionante che ha stupito persino il suo creatore. Ma la vera sorpresa è arrivata quando diverse persone, ascoltando il brano senza conoscerne l’origine, si sono emozionate chiedendosi chi fosse l’interprete umano dietro quella performance. Nessuno ha sospettato che fosse opera di un algoritmo.

Questo episodio rappresenta la metafora perfetta di un’epoca in cui la tecnologia non si limita più a supportare la creatività umana, ma la sostituisce completamente.

Siamo passati dall’utilizzare strumenti digitali per amplificare il nostro talento al delegare completamente la creazione artistica a macchine che simulano l’ispirazione umana con una precisione chirurgica. Il problema non è tanto la qualità del risultato finale, spesso indistinguibile da una produzione umana, quanto la perdita totale del gesto creativo, dell’intuizione, di quell’errore felice che spesso genera i capolavori più memorabili della storia della musica.

La musica elettronica, nata proprio dall’incontro tra tecnologia e creatività umana, sta vivendo una trasformazione radicale che va ben oltre la semplice evoluzione degli strumenti. Abbiamo assistito al passaggio dai vinili ai cd, dalle chiavette usb ai software di mixaggio, dai sequencer hardware alle workstation digitali. Ogni cambiamento ha portato nuove possibilità espressive, ma ha sempre mantenuto al centro l’elemento umano: la capacità di sentire, interpretare, sbagliare e correggere in tempo reale. Oggi invece assistiamo a una vera e propria sostituzione del musicista, del produttore, del dj con interfacce che promettono di democratizzare la creazione musicale ma che in realtà la stanno standardizzando secondo parametri algoritmici.

Il fenomeno è particolarmente evidente nelle consolle dei club contemporanei, dove sempre più dj si affidano completamente alla sincronizzazione automatica e alla lettura delle forme d’onda sui display, trasformando le tradizionali cuffie da strumento di lavoro essenziale a semplice accessorio estetico da esibire sui social media. Questa deriva rappresenta non solo un impoverimento tecnico, ma soprattutto una perdita di contatto diretto con la musica, con quel dialogo intimo tra l’artista e il suono che ha sempre caratterizzato l’arte del mixaggio. Se non ascolti, se non senti fisicamente il battito della musica, cosa stai davvero facendo? Stai gestendo un playlist automatizzata o stai creando un’esperienza musicale unica e irripetibile?

L’intelligenza artificiale applicata alla produzione musicale solleva questioni etiche fondamentali che l’industria del settore sembra voler ignorare nella corsa verso l’efficienza e la riduzione dei costi.

Quando un algoritmo può generare in pochi minuti una traccia che richiede settimane di lavoro a un produttore umano, quando una voce sintetica può interpretare un brano con la stessa emotività di un cantante professionista, quando un software può remixare automaticamente migliaia di brani adattandoli al gusto del pubblico in tempo reale, ci troviamo di fronte a una rivoluzione che non riguarda solo la tecnologia, ma l’essenza stessa della creatività artistica. La strada imboccata porta verso scenari ancora più estremi di quelli che stiamo già vivendo. Il primo robot dj è già realtà, non più provocazione futuristica ma presente concreto che anticipa un futuro in cui l’animazione musicale sarà completamente automatizzata.

Avatar digitali, deepfake in console, performance generate interamente da algoritmi rappresentano solo l’inizio di una trasformazione che non si fermerà ai creatori ma investirà anche i fruitori… Ecco la digitalogia

Non si capisce più niente. Quando la sostituzione degli artisti sarà completa, toccherà al pubblico: piste da ballo popolate da avatar, festival con spettatori virtuali, live show dove l’unica cosa reale sarà il sistema di amplificazione.

L’accelerazione di questo processo è alimentata da una logica puramente economica che privilegia l’efficienza sulla qualità, la standardizzazione sulla diversità, la prevedibilità sulla sorpresa. L’intelligenza artificiale applicata alla musica elettronica promette costi ridotti, tempi di produzione azzerati, personalizzazione infinita dei contenuti, ma a quale prezzo? Il rischio concreto è quello di perdere completamente il contatto con l’elemento umano che da sempre caratterizza l’arte musicale, trasformando la musica in un prodotto algoritmico ottimizzato per massimizzare l’engagement ma privo di quell’anima che rende un brano memorabile e significativo.

La sfida per musicisti, produttori, dj e tutti coloro che lavorano nell’industria musicale è quella di trovare un equilibrio tra innovazione tecnologica e preservazione della creatività umana. L’intelligenza artificiale non deve essere demonizzata, ma deve essere umanizzata, utilizzata come strumento amplificatore del talento umano piuttosto che come sostituto. La tecnologia deve rimanere al servizio dell’arte, non viceversa. Solo mantenendo questo principio sarà possibile salvaguardare ciò che rende la musica elettronica ancora una forma d’arte autentica e non solo un’interfaccia digitale ottimizzata per l’algoritmo di raccomandazione di turno. La musica elettronica si trova oggi a un bivio cruciale della sua evoluzione.

Da un lato la strada dell’automazione completa, dell’efficienza algoritmica, della produzione standardizzata che promette risultati immediati e costi contenuti. Dall’altro la strada più difficile della ricerca costante, dell’sperimentazione umana, dell’errore creativo che genera innovazione autentica. La scelta che faremo nei prossimi anni determinerà se la musica elettronica manterrà la sua natura di arte espressiva o si trasformerà definitivamente in un prodotto industriale generato automaticamente per soddisfare le aspettative di algoritmi che simulano il gusto umano senza comprenderlo davvero.

Riccardo Sada x Sada Says