Festival bolla o balla per il ballo (Sada Says)

Festival bolla o balla per il ballo? Riccardo Sada riflette su un fenomeno del momento…

Il Post ha scritto una cosa molto interessante sulla trasmissione e la ridistribuzione della cultura musicale: dice che agisce per vasi comunicanti “riempiti dal sudore di una pista da ballo, portando persone che prima non sapevano a sapere: di fatto, un potenziale ascensore sociale”. La piattaforma di informazione ha preso in considerazione quello che è accaduto nell’edizione 2023 del C2C Festival, noto ai più come Club to Club, svoltosi al Lingotto di Torino. Il cronista, immediatamente oltre i cancelli d’ingresso, è stato accolto in una stanza “completamente buia dalla quale arrivavano suoni stranissimi”. Era musica elettronica. Anzi, era la IDM degli Autechre, mica noccioline, qualcosa definito come “rumori cacofonici e bassi laceranti che nemmeno per un attimo sembrava essere costruito per essere piacevole”.

Festival bolla o altro?

La techno e la dance music colta in generale stanno dilagando e interessando anche ai media tradizionali e generalisti, che vedono e catalogano un settore come “moda e costume”. Così è.  Ai festival così oggi si trovano più categorie di persone. Gente che storce il naso per le scelte più mainstream, gente che si annoia un po’ se in attesa di un dj famoso si ritrovano a dover seguire un’ora di groove avanguardisti. Ma a un certo punto della notte è probabile che tutti si ritrovino come in una vera comunità, anzi tribù, vicini alle casse.

Chi conosce i club sa che è lì e nei pressi della consolle del dj che succedono le cose migliori. È l’allargamento delle conoscenze a persone che per vari motivi erano fuori da una cerchia. Un’aggregazione e una condivisione che fanno godere, per raggiungere sensazioni ed esperienze collettive che hanno una forza unica e irresistibile. La musica dance è democratica ed è fatta per tutti.

“In una serata techno lo spettacolo non è tanto quello che si vede sul palco, quanto quello che si muove sotto”, prosegue il Post.

E sullo stage c’è qualcosa per certi versi è tra il paradosso e l’accessorio: un dj, un professionista che non suona uno strumento, non canta, prova a ballare e soprattutto si sente il capitano Kirk dell’Enterprise. Schiaccia tasti, spinge cursori, cambia chiavette, preme leve di diffusori di co2 e guida l’astronave spalla a spalla con l’addetto alle luci, quando va bene e c’è budget.

Una curiosità. Quando un disc jockey inizia a suonare, le luci sono alte e poi si abbassano e lui lavora nel buio; quando invece una band inizia a suonare, le luci sono basse e poi si accendono. In generale, il modo in cui le luci sono impostate durante un’esibizione musicale può variare a seconda delle preferenze del dj, della band o del regista delle luci, oltre al tipo di atmosfera che si vuole creare durante lo spettacolo. Tuttavia, ci sono alcune motivazioni comuni dietro le scelte di illuminazione per il dj e la band.

C’è l’ntensità crescente, quindi. Quando un dj inizia a suonare, è comune che le luci siano alte per creare un impatto visivo e attirare l’attenzione del pubblico che avverte che la lunga serata è solo agli inizi. Un’iniziale intensità luminosa può essere usata per rendere l’entrata dello stesso dj più spettacolare. Molti dj preferiscono lavorare in un ambiente con luci più basse o addirittura nel buio parziale perché ciò permette di creare un’atmosfera più intima e coinvolgente. Le luci basse possono aiutare il pubblico a concentrarsi sulla musica e a entrare nello spirito della serata senza distrazioni visive.

Durante un set di musica elettronica potrebbero essere utilizzati effetti luminosi come fari, luci stroboscopiche, luci led sincronizzate con la musica o altre tecniche per accentuare la performance. Per una band è diverso.

Le luci basse all’inizio dell’esibizione di una band possono essere utilizzate per creare suspense e attirare l’attenzione del pubblico verso il palco. Questo può aumentare l’emozione e l’attesa per l’inizio dello spettacolo. L’accensione delle luci quando la band inizia a suonare può essere uno strumento per valorizzare l’entrata dei singoli musicisti, del leader o del gruppo nella sua totalità; e così le luci possono essere usate in modo più dinamico per coinvolgere i presenti. Come nell’arredo delle abitazioni e della architettura in generale, l’illuminazione è un elemento importante per amplificare l’esperienza musicale e influenzare l’umore e l’emozione del pubblico in un ambiente definito. È uno strumento creativo che può essere sfruttato per valorizzare la performance e creare un’atmosfera unica e memorabile. Chiusa parentesi.

E quindi, festival bolla… oppure no?

Torniamo alla centralità del clubbing e dei festival di musica elettronica. Festival bolla o balla per il ballo? In diversi eventi, comunque, lo spettacolo è in sostanza il pubblico, che per una combinazione di motivi riesce a comportarsi come quello di un contesto molto più piccolo e intimo. Riprodurre la giusta atmosfera nei grandi eventi porta la cultura della musica live e dance a diffondersi.  Eliminare il più possibile l’alcol dalle sostanze coinvolte nell’equazione è un altro requisito piuttosto fondamentale perché così tante persone possano stare per ore schiacciate come sardine senza che ci siano situazioni moleste, aggressive o pericolose, specialmente per le donne: e fortunatamente ormai ai festival, per i prezzi a cui vengono venduti i cocktail e la quantità di superalcolici che contengono, è generalmente molto difficile ubriacarsi. La club culture ha un passato illustre in molte nazioni.

Tuttavia, a differenza di altri paesi, come la Germania, il Regno Unito o i Paesi Bassi, quella italiana è una realtà che attualmente esiste in poche città, spesso fortemente gentrificate, e quasi per elitarismo: soprattutto Torino. Molti centri sociali e spazi occupati autogestiti, dove a loro volta avviene questo processo, hanno chiuso per la scarsa considerazione delle amministrazioni comunali. Molti resistono nel tempo. Come a Bologna o Roma. I festival hanno invece un posto e un ruolo diverso nel sistema culturale: non sono un rave. Sono un sistema che sta in piedi grazie all’organizzazione e alle sponsorizzazioni. Senza contare  la nascita e lo sviluppo di rassegne mirate che si basano su criteri esclusivamente commerciali monotematici, adatti a un pubblico di riferimento preciso, targetizzato e omogeneo.

Divagando, e vedremo e valuteremo cosa accadrà nel tempo, è eccitante e affascinante il concetto di boutique festival, esperienza che abbraccia l’essenza della qualità, dell’intimità e dell’individualità.

Quando si parla di festival boutique la parola d’ordine è esclusività. Questi eventi si distinguono per la loro mira ad un pubblico selezionato, che cerca una dimensione meno caotica e più raffinata, lontana dalla folla delle grandi manifestazioni. Nel corso degli anni, il concetto di boutique festival si è radicato sempre più, diventando il formato dominante a livello europeo. Stiamo parlando di qualcosa di più prezioso e personale rispetto ai grandi appuntamenti: opportunità uniche di abbandonarsi a esperienze sensoriali, ricche di emozioni e misurate sulle esigenze di ogni partecipante.

In questi eventi non si trovano gli artisti di cartello, quindi i big, che attirano folle enormi, bensì line-up curate, sofisticate, allineate e di nicchia, capaci di far vibrare i cuori dei presenti.

Molti dicono che un boutique festival è come un gioiello nascosto, un tesoro da scoprire, in cui il passaparola è essenziale, quasi come ai tempi dei primi rave. Niente sponsorizzazioni martellanti sui social. Solo autentica scoperta e condivisione tra gli appassionati. È un’esperienza riservata a pochi, e quando diventa di dominio pubblico, perde quel fascino intimo che lo contraddistingue. Il futuro dei festival sembra abbracciare una nuova dimensione personale e autentica, su misura, onesta, organica. La persona al centro di tutto. Che si guarda e interagisce appagando tutti i suoi sensi.

(Riccardo Sada per Sada Says / AllaDisco)

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