La musica dance elettronica e la crisi climatica (Sada Says)

Questa settimana Riccardo Sada nella sua rubrica AllaDiscotecara Sada Says ci racconta di musica dance elettronica e crisi climatica. Mica male. Chi non legge e poi pensa sbaglia.

La crisi ambientale è ormai così reale, tangibile che siamo spacciati. E dobbiamo farci forza e rimediare. Prevenire sarebbe stato meglio che curare, invece no. Gli ultimi rapporti scientifici si leggono come severi e disperati avvertimenti. Entro il 2025 dovremo aver risolto questo catastrofico surriscaldamento per evitare quella che sarebbe la sesta estinzione di massa del pianeta. Eppure, molti, ma non tutti, lottano per far quadrare queste previsioni di caos climatico e disgregazione sociale con le nostre vite quotidiane, che continuano normalmente, occasionalmente interrotte da titoli su tempeste, incendi o inondazioni.

Saremo tutti costretti ad adattarci ai cambiamenti climatici (se ne occupa anche Meta in questo modo: https://www.facebook.com/climatescienceinfo/). In alcuni paesi, soprattutto nel sud del mondo, la piaga accadrà prima e dobbiamo anche abituarci a emigrazioni di massa. Possiamo solo sperare che l’adattamento avvenga abbastanza velocemente da essere efficace. Tuttavia, dato che le emissioni globali hanno raggiunto un livello record nel 2018, sembra più probabile che ci adatteremo al volo con l’innalzamento delle temperature e del livello del mare.

Quando capiremo davvero la debacle climatica sarà troppo tardi. Possiamo iniziare a immaginare come saranno influenzate le nostre vite quotidiane, dal nostro lavoro e dalla nostra istruzione al modo in cui trascorriamo il nostro tempo libero.

Comprensibilmente, il destino della musica da ballo potrebbe non essere in prima linea nelle nostre menti. C’è forse una sensazione che il delirio e la follia saranno deprezzati in caso di crisi, vivremo un mondo distopico, insieme ad attività ricreative. Tutto insieme, tutto livellato. Ma da queste realtà impareremo lezioni morali e di vita quotidiana: la minaccia che stiamo affrontando è così grave che potremmo dover rinunciare ad alcune delle cose che amiamo. Il cambiamento climatico è una questione molto reale per la musica dance elettronica, semplicemente perché è una questione per tutti, in particolare nel mondo sviluppato che inquina e consuma eccessivamente, che ha già preso più della sua giusta quota di risorse del pianeta.

È un buon momento per iniziare a chiedersi: cosa possiamo fare tutti noi? Come rete globale di persone con un interesse condiviso, dai dj super ricchi ai promoter di eventi underground, raver del fine settimana e ogni fan, c’è un ruolo collettivo da svolgere nello sforzo di prevenire l’impensabile.

Il clubbing e il djing hanno una responsabilità importante e di larga misura e uno dei motivi sono i voli aerei.

Il segno distintivo di un dj di successo è la quantità di tempo che questo trascorre nei cieli viaggiando tra uno stage e l’altro, coprendo centinaia di tratte all’anno. L’impronta di carbonio individuale dei dj è di gran lunga superiore alla media nel mondo sviluppato che è già troppo grande per essere sostenuta.

Un dj olandese, Job Sifre, dalla De School di Amsterdam, ha iniziato a pensare a questo problema quando ha scritto il report “Last Night A DJ Took A Flight” (https://cleanscene.club/) e notato che i suoi colleghi non parlavano mai dell’impatto ambientale del loro lavoro e ha deciso di approfondire la questione per la sua tesi in management musicale calcolando che, in un anno, i suoi voli per venti spettacoli internazionali aggiungessero all’atmosfera circa quattro tonnellate di gas serra.

Molti dj di alto livello suonano più di quattro volte quel numero di spettacoli contribuendo non poco alla crisi climatica. Un viaggio di andata e ritorno da Londra a Sydney, ad esempio, crea 5,5 tonnellate di CO2, circa la stessa quantità che un cittadino medio del Regno Unito produrrà in un anno intero. Tutti sono alla ricerca di soluzioni, ma sono un po’ persi nelle possibilità, vero. Tutti vogliono cambiare ma non sanno come. L’idea alla base della compensazione in realtà è semplice: mettersi una mano sulla coscienza e calcolare quanto carbonio si è immesso nell’atmosfera versando denaro in progetti che lo eliminino.

Può essere difficile scoprire se i propri soldi vengono spesi in modo corretto ed efficace, poi però c’è anche un rischio psicologico.

Se uno sa che la compensazione per combattere la crisi climatica è un’opzione, c’è il rischio che possa aumentare la quantità di voli che fa. Le persone si sentirebbero libere di fare, come se avessero un pass gratuito per volare, perché potrebbero riscattare il proprio senso di colpa. Come Sifre, anche DJ Darwin da Berlino si (pre)occupa della cosa e attraverso la discoteca Reef raccoglie fondi per la conservazione della barriera corallina e lanciato Clean Scene, progetto ambientale che include una AI (https://www.climatechange.ai/) che calcola il carbonio usato da dj e agenzie di viaggi e booking.

La comunità della musica dance elettronica fa passi da gigante? Sembrerebbe. Affronta comunque a suo modo molte questioni nel sociale. Il minimo che i dj e chi lavora con loro può fare è provare a fare la differenza all’interno della scena creando una sorta di precedente. Ben UFO ha calcolato le sue emissioni e dona denaro per programmi di gestione dei rifiuti e conservazione delle foreste.

C’è un programma di calcolo, quello del Climate Neutral Now (https://unfccc.int/climate-action/climate-neutral-now) sostenuto dalle Nazioni Unite è il più completo.

Le compensazioni di carbonio hanno in genere un prezzo di pochi euro per un volo a corto raggio. I prezzi variano. Il costo della compensazione dipende dal progetto: piantare alberi potrebbe essere più costoso che donare impianti di riscaldamento a basso consumo. Dj come Matthew Herbert hanno iniziato a evitare di volare. Cosi fa Joe di Hessle Audio e così anche il dj Gigsta. Al di là dell’impossibilità di fare delle transoceaniche, viaggiare in treno per tenere show è possibile oltre che sostenibile. L’intero comparto dovrebbe essere attrezzato e coinvolto per essere più sostenibile.

Il fatto che qualcuno sia o non sia un dj in fondo non ha molta importanza e l’indotto potrebbe venire in soccorso del settore del clubbing, dei festival. DJs For Climate Action (https://www.djs4ca.com/), un gruppo di azione collettiva fondato da Eli Goldstein di Soul Cap. è un programma di compensazione creato dal produttore di Fools Gold Sammy Bananas che si occupa di energia rinnovabile e di metano tratto dalle fattorie.

In un settore così precario, come abbiamo soprattutto visto durante la pandemia, è comunque difficile rifiutare offerte economiche redditizie. Ma l’ecosostenibilità è qui e tutti dovremmo riflettere e fare qualcosa dove governi e istituzioni hanno fallito.

In un mondo in cui cento delle più grandi aziende producono oltre il 70 percento delle emissioni globali, in che modo qualche migliaio di dj che prendono il treno o il calesse farebbero la differenza? Il consumo etico è qualcosa di così impraticabile? Dovremmo rendere meno redditizio l’inquinare per le aziende. Il problema è farlo dal divano di casa. Peggio dall’ufficio. Forse dalla strada con delle rivolte e delle sensibilizzazioni come quelle degli attivisti che siamo abituati a vedere spesso qui in Italia. 

I super dj, i grandi nomi, comunque non fanno nulla sul fronte della crisi climatica.

Le loro avviate e consolidate carriere li fanno girare dall’altra parte con lo sguardo. Prendono magari cinque voli a settimana e se ne infischiano. Poi magari troveranno l’idea per fare un po’ di greenwashing ma sono i primi a ignorare nuovi modelli di business perché appunto di affari si stratta e ti direbbero che hanno un’azienda da mantenere e che non possono e non vogliono lasciare a casa persone. In fondo, i super dj sono davvero delle aziende e come tali si comportano. Allora, viva i dj sconosciuti che, tanti, coesi, potrebbero fare quello che i grandi non fanno. Sono tutti artisti in difficoltà, quando li senti parlare.

Il festival DGTL di Amsterdam è nato proprio per creare connessioni tra singoli professionisti, pubblico e industria musicale alzando la soglia di attenzione nei confronti di festival ecologici, andando oltre i bicchieri riutilizzabili e le toilette composte.

La costruzione di un sistema circolare onnicomprensivo, dove nulla va sprecato, sta funzionando. L’attrattiva esercitata dalla dance su aziende e sponsor conferirebbe all’industria musicale stessa anche un peso insolito. Sempre più brand mostrano interesse per ciò che riguarda l’elettronica e vogliono includerla nella loro immagine usandola a mo’ di influencer. L’unico modo e moto per rendere la sostenibilità un impeto è creare una forte domanda e una pressione sociale. Le persone dovrebbero sentirci speciali, uniche e utili al pianeta e a chi rimarrà ad abitarlo, se fanno qualche sforzo. Il nostro stile di vita è un punto a sfavore nella storia dell’umanità.

Eliminare in consumo della carne e il fast fashion avrebbero un impatto maggiore sulle emissioni rispetto a prendere meno voli per i dj, comunque. Ridurre la nostra dipendenza su transfer a medio e lungo raggio però rallenterebbe la carriera di un dj che ha bisogno di spostarsi e i live set sono uno dei pochi flussi di costante e affidabile reddito nel settore. Dovremmo pensare più al local e a comprendere, seguire e ad amare i dj del posto, i suoni del territorio, anche se sembrerebbe impossibile in un comparto così globalizzato.

In attesa di vedere Greta Thunberg fare la dj per risolvere la crisi climatica, dobbiamo gettare le fondamenta per un domani sostenibile.

La musica dance può essere solo una piccola entità rispetto a quello del turismo ma storicamente è collegata con tanti segmenti. È una forza progressista che sposta l’ago della bilancia in nuove direzioni sin dalla sua nascita e spesso in modo positivo, su molteplici cause: dalla giustizia sociale della comunità LBGTQ+ all’antirazzismo e al femminismo. Perché non dovrebbe occuparsi del cambiamento climatico?

(Riccardo Sada x Sada Says x AllaDisco)

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