Non ci sono più hit, soprattutto dance e italiane (Sada Says)

Non ci sono più hit, dice Riccardo Sada nella sua super AllaDisco rubrica Sada Says. E non solo: chi ha ucciso la dance italiana da esportazione? Riccardo parla poi della faccenda lunedì 9 ottobre, in diretta social… trovate tutte le info qui sotto.

Non ci sono più hit e soprattutto dopo il 2000 non ci sono più hit italiane dance. Chi ha ucciso la dance italiana da esportazione? Va bene, causa ignoranza dilagante la gente non distingue una hit da un brano che si è mosso egregiamente. Ci sono molti Piquet che confonderebbero un Casio con un Rolex e una Ferrari con una Twingo. Forse questo pensiero lo avrebbe dovuto scrivere Shakira. Ma così è. Sono tutti colpevoli e senza alibi, dal primo dj all’ultimo dei programmatori radiofonici, se non ci sono più hit italiane dance e la gente fa confusione tra una hit e un brano di medio calibro che è transitato da classifiche italiane e non.

Non è poi così difficile da capire che con una hit compri i palazzi, con le presunte hit manco un’Audi usata. Però il popolo prosegue a non capire. La hit non è poraccitudine. La mancata presenza di hit dall’avvento del digitale non è causato solo dal predominio di quest’ultimo bensì, sempre stando nel seminato, dalla diffusione della dance cantata in lingua italiana da parte delle radio.

Dopo l’inizio del nuovo millennio tutti si sono sentiti profeti in patria e il fenomeno italico da esportazione ha avuto un drastico calo, trascinandosi dietro tutto il comparto, dai dj stessi ai loro brani, dalle label che hanno iniziato a pensare di acquisire licenze piuttosto che a fare ricerca e sviluppare roster, sino a spingersi ai pr, ai manager. Ci hanno fatto il culo anche i rumeni, che hanno invaso territori con una specie di italodance che a tratti è rimasta e a tratti no.

Non guardare oltre il proprio orticello è stato un errore inammissibile e il settore ne paga sempre più e alla lunga le conseguenze. La mancata presenza, diffusione e il mancato consolidamento delle hit dance, anche all’estero, con questo scalmanato all you can hit, da sommare a una infodemia galoppante, hanno contribuito dalla diffusione in digitale di contenuti che fanno fatica a saziare, distraendo, e soprattutto rimpolpando i portafogli.

Tutto questo coincide con l’inizio del nuovo millennio. L’unica rondine tricolore che comunque non fa primavera sono i Meduza, qualcosa tuttavia di troppo poco club per i club e troppo poco pop per i festival e che, tuttavia, giocano un campionato tutto loro. Si fanno Sanremo, se la tirano a mille, fanno le star.

La domanda da porsi in realtà non è quella se ci sia o no una vera hit dopo il 2000 o se i Meduza sono delle meteore invece che delle stesse, bensì cosa verrà un domani, cosa ci riserva il futuro. Con questi propositi, con le AI, con piccoli e grandi produttori che usano suoni precotti per brani prevedibili, suggerisco a tutti di trovarsi valide alternative a livello professionale. Negli ultimi anni, la musica ha subito una profonda trasformazione. Le piattaforme di streaming e i social media hanno reso più facile che mai per le persone condividere e scoprire nuovi brani. Questo ha portato ad un’enorme quantità di musica disponibile, ma allo stesso tempo ha reso sempre più difficile distinguere tra una vera hit e un successo di sufficiente portata. È importante capire cosa si intende per hit musicale.

Tradizionalmente, una hit è un brano che raggiunge un grande successo commerciale. Viene trasmessa frequentemente dalle stazioni radio, diffusa in quantità sconsiderate e apprezzatissima dal pubblico.

Questa definizione, però, sembra essere cambiata negli ultimi anni. Molte persone considerano una canzone un successo se ottiene un alto numero di stream su piattaforme come Spotify o YouTube. Ma questo non significa necessariamente che il brano sia ua hit. Mentre molti artisti, soprattutto quelli emergenti, si affidano alla viralità sui social media per ottenere visibilità e ascolti, questo non garantisce una lunga durata o un impatto duraturo e quindi dimentichiamoci anche gli evergreen sennò dovremmo aprire anche una parentesi e non è il caso.

L’avvento delle playlist curate dagli algoritmi poi ha reso ancor più difficile distinguere tra una hit e un successo di sufficiente portata. Spesso, le persone si trovano ad ascoltare brani suggeriti nelle proprie dsp senza nemmeno conoscere l’artista o il titolo del brano. Vale lo stesso nei live sennò non si spiegherebbe il successo di Shazam. Questo potrebbe portare a una mancanza di connessione emotiva e di interesse per la musica stessa. Senza contare il rapido cambiamento dei gusti musicali e delle tendenze. Ciò che è considerato una hit oggi potrebbe essere dimenticato domani.

È importante ricordare inoltre che una hit, una vera hit musicale va oltre i numeri e lascia un’impronta indelebile nel panorama musicale.

“Non mi viene in mente neanche un pezzo dance italiano dance davvero importante che sia uscito dopo il 2000 oltre a Piece of you Heart’ dei Meduza. I Meduza, tra l’altro, spero siano in evoluzione, perché sono tra i pochi che avendo un vero background musicale possono inventarsi qualcosa. Sempre che abbiano il coraggio di osare ancora, cosa che purtroppo dopo il successo internazionale non è successa”, dice Lorenzo Tiezzi (che lavorava in discografia intorno al 2000 e da allora vive “nell’ambiente”, tra l’altro pubblicando questo blogghettino).

Robert Miles, Children, Gigi D’Agostino e Benny Benassi sono antecedenti al 2000, con le loro hit. Il mondo dance commenta e si divide. Siamo una squadra fortissimi. Maurizio Picciotti (produttore in orbita Media Records, NDR) dice che la hit è un prodotto globale con alto numero di persone nel mondo che conosce il prodotto (quanto dove e come è un altro discorso, li si va sull’analisi dei dati). “E che fa incassare parecchio in vari modi, anche trasversali (tipo sincronizzazioni in film, serie tivù, pubblicità). I soldi si possono fare e si fanno ancora. Chiaro che se la testa resta nel vinile e nel cd non si capirà mai il nuovo mondo. Hit organiche o costruita, non importa. È la diffusione e l’impatto che ha nel panorama che fa la differenza”.

Nico De Ceglia (dj italiano che da tempo vive a Londra) aggiunge: “Ho un amico che spesso mi manda tracce di artisti italiani un po’ di ogni genere per veder che ne penso. Il problema grosso è sempre che spesso suonano troppo italiane, con canoni che son lì da secoli senza spostarsi molto. Quando glielo dico lui non capisce cosa intendo. Uno dei problemi più grossi è proprio quello, in Italia tendiamo a far cose che non hanno un’ottica ed estetica internazionale ma diamo invece conferma di come il paese sia legato e chiuso in certi stereotipi che si riflettono anche musicalmente”.

Tra l’altro bisogna prendere in considerazione che la maggior parte dei nuovi produttori musicali italiani non si dedica a progetti da esportazione e spesso interpretati in lingua inglese bensì concentra i propri sforzi su iniziative domestiche, in questo caso artisti che cantano semplicemente in lingua italiana, riducendo in questo modo le prospettive per espansioni fuori dal territorio da parte della musica prodotta internamente.

Oggi per la gente è una hit qualsiasi cosa, dice Den Harrow (mitico artista anni ’80), uno che di hit ne ha fatte davvero. “Una hit in termini di popolarità deve farti conoscere almeno in tutta Europa. Su dieci persone, almeno otto devono saper canticchiare il tuo brano e sapere il tuo nome. In termini economici, con una hit come la intendiamo noi diventi ricco. Questo è il vero metro di misura. Tutto il resto è robetta che non lascerà nessun segno se non ricordata solo da chi l’ha scritta. Questa è la verità”.

(Riccardo Sada x Sada Says x AllaDisco)

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