Il nichilismo nell’hip-hop e nella cultura da strada (Sada Says)

Una generazione di rapper in rapida crescita sputa fuori rime cupe ed edonistiche su sesso senza amore e morte prematura, come in un romanzo di fantascienza distopica. I lamenti sui pensieri suicidi di una coppia si susseguono. I temi sono sempre gli stessi: ecstasy e farmaci da prescrizione nei ritornelli rappati creano i più grandi successi del genere. Siamo oltre il gangsta rap e le sue aperture misogine e omofobe, i ritratti di neri fatiscenti e il tono di disperazione.

La criminalità nera fa hype soprattutto nei dischi, visto che di giornali se ne vendono sempre meno. Il nichilismo suggerisce che i rapper trovino piacere nella resistenza e nell’arte priva di significato, questo per non affezionarsi alle trappole di un mondo illusorio. C’è da affrontare argutamente un vuoto. Ci sono critiche tipiche mosse dall’arte afroamericana che sono spesso definite da sussulti disperati e catartici provenienti dall’etere razzista.

Ma da cosa è caratterizzato il nichilismo dell’hip hop attuale?

La ricerca della ricchezza si carica di significati. Nichilismo e negatività si manifestano nell’arte nera celebrativa e critica. Prima Jean-Michel Basquiat, Toni Morrison e Ralph Ellison, ora i rapper e domani i trapper. Che si tratti dei musicisti blues del passato che rispondono alle promesse non mantenute del periodo post-emancipazione dell’America; che si tratti della polizia di Los Angeles mal vista da Ice Cube; che si tratti di Queen Latifah che tenta di sedare le tensioni generate in anni di misoginia da parte degli uomini del settore, resta un fatto: la musica del mondo hip-hop è dentro un ciclo infinito di osservazioni, sentimenti e risposte. Negli anni ’90, vari fattori, come il maggiore accesso alle immagini della brutalità della polizia, un’epidemia di crack nei quartieri neri e un crescente divario di ricchezza, hanno fatto infuriare alcuni al punto da spingerli alla militanza. Ma accanto a quelle proteste c’erano artisti gangsta tra cui Bone Thugs-n-Harmony e Nate Dogg.

Il domani non sarà diverso. Oltre alle discussioni politiche di artisti come Lamar, Run the Jewels e Jay-Z, ci sono rapper giovani e disincantati che riflettono, anche se indirettamente, il costo emotivo di questi scontri.

Serve creare uno struggimento introspettivo e decisamente torturato, a metà tra un rap e una melodia, per richiamare le attenzioni. L’aspettativa del pubblico per un rapper legato alla trap, magari con un passato (o un presente) criminale, che riflette su quella vita nei suoi testi, è che viva borderline, al confine tra il legale e l’illegale.

Quando gli artisti soddisfano le aspettative, guadagnano ancora più popolarità. Quando il cliché di un artista non corrisponde all’immagine suggerita dalla sua musica, e quando questo vive lontano dalle trappole nichiliste della musica, le reazioni mostrano quanto possano diventare maligni e maledetti, radicalizzati e radicati, i presupposti e i preconcetti sugli artisti di colore. L’hip-hop, e la maggior parte delle altre industrie che prosperano sotto un ordine razzista e patriarcale, sono piene di uomini che hanno vissuto una crescita ricca di stenti e povera di contenuti filosofici, e un’infanzia difficile. Molti trascendono nella desolazione di cui rappano.

L’oscurità apparentemente infusa nel rap contemporaneo, la spaventosa disillusione, l’uso di droghe, il sesso privo di vero piacere e la cupezza sonora, il cammino distopico dei neo creatori, non è esclusiva dell’hip-hop: né dell’arte nera né di questo particolare periodo di tempo.

Secondo uno studio su oltre un milione di canzoni, mentre i riferimenti alle droghe sono aumentati a partire dagli anni ’90, sono i musicisti country a menzionare in realtà maggiormente l’uso di droghe a scopo ricreativo. Altro che Chemical Brothers. Altro che Sex Pistols.

E ancora: altro che Syd Barrett. La criminalità, la turbolenza e la ribellione stereotipata del black power hanno sempre entusiasmato il pubblico e di ogni colore. In fondo è solo puro intrattenimento. È un circolo vizioso che colpisce i bassifondi. Parte da Scampia e dal Bronx e finisce ai piani alti. Ma non ai poteri forti. Risiede nel crossover. È dentro il sistema. Droga, misoginia e cultura dello stupro sono mezzi, parole scomode, concetti insidiosi in spazi vuoti. È il nichilismo universale che colma le lacune e che porta in cima alle classifiche in modo tutt’altro che ortodosso.