Anedonia, stato della cultura musicale e cazzeggio (de)generativo / Sada Says

Anedonia, che roba é? E’, per Riccardo Sada x Sada Says @ AllaDisco, lo stato della cultura musicale e cazzeggio (de)generativo

Il 2024 potrebbe essere il periodo più frenetico e pericoloso di sempre per l’economia legata alla creatività. L’intrattenimento come lo conosciamo sta morendo e qualcosa di diversi sta per prendere il suo posto.

Molte persone del settore pensano che arte e intrattenimento siano le uniche opzioni e strade da percorrere, sia per la loro che per il loro pubblico. O danno al pubblico ciò che vuole (il mestiere dell’intrattenitore) oppure impongono pretese al pubblico (è lì che inizia l’arte). Tuttavia, hanno totalmente torto. Forse è più intelligente considerare l’economia creativa come una catena alimentare: se si è artisti, o se si sta cercando di diventarne, la realtà si distorce e tutto cambia.

Fino a poco tempo fa, l’industria dell’intrattenimento era in fase di crescita, al punto che qualsiasi cosa artistica, indipendente o alternativa veniva spremuta come danno collaterale. Il più grande cambiamento è già avvenuto.

Stiamo assistendo alla nascita di una cultura post-intrattenimento che non aiuterà le arti né la stessa società. La musica poi potrebbe attraversare il peggiore dei suoi momenti.

Basti considerare la mossa di Sony Music nell’investire nel catalogo di Michael Jackson per una valutazione di 1,2 miliardi di dollari. Nessuna etichetta investirebbe nemmeno una frazione di quella somma nel lancio di nuovi artisti…

E quindi? Anedonia.

È una specie di comfort zone costante, questa, dalla quale nessuno vuole uscire. Gli artisti valgono maggiormente se vecchi (con storytelling, follower, fan base, cataloghi) e quelli giovani sono costretti, come si suol dire, a farsi le ossa. Stesso dicasi per quelli morti, che spesso generano numeri più interessanti di quelli vivi (che, nonostante tutto, fanno un po’ di cassetto coi live e i diritti connessi a tali attività).

Il settore in più rapida crescita dell’economia culturale è la distrazione. È il settore della perdita di tempo e della superficialità, del clickbaiting dello scorrere su e giù con il dito sullo schermo touch dello smartphone. Cazzeggio (de)generativo. La chiave e la centralità dell’affare è che ogni stimolo ha la durata di pochi secondi e deve essere ripetuto all’infinito e qui ci si riallaccia al discorso secondo cui i brani di Spotify devono essere sempre più brevi, quasi la durata di uno spot (guarda caso, si torna all’etimo del nome della stessa DSP, che in questo caso sta per piattaforma di streaming, ndr, che sta invece per nota di redazione)

È un business enorme e in trasformazione costante, questo, e presto sarà più grande dell’arte e dell’intrattenimento stessi messi insieme.

Tutto si sta trasformando in un gioco, in una gara, in una piattaforma. Ci si basa sulla chimica del corpo, non sulla moda o sull’estetica. Il nostro cervello premia le brevi esplosioni di distrazione: la dopamina neurochimica viene rilasciata e questo ci fa sentire bene, quindi vogliamo ripetere lo stimolo. Attenti al loop perché a ogni giro c’è un regalo, una ipnosi progressiva, un ciclo che si chiude e si riapre. Si tratta di un modello familiare per la dipendenza e viene applicato alla cultura e al mondo creativo, al sociale e quindi a miliardi di persone inconsapevoli. Altro che pandemia, altro che cospirazioni: questo è il più grande esperimento di ingegneria sociale della storia dell’umanità. È necessario abbandonare quel semplice modello di stato dell’arte entrato in collisione con l’intrattenimento. E la distrazione a base di musica e video crea dipendenza molto più che la nicotina.

Evvai con l’anedonia, quindi…

I proprietari delle piattaforme non appartengono a dei mecenati dell’arte, non vogliono trovare il prossimo Battisti o Mozart, Battiato o Dylan. Vogliono creare un mondo di gente dipendente da flussi e se i content creator entrano in stallo saliranno alla ribalta le AI. Ogni algoritmo è pronto a ricercare, elaborare, selezionare, manipolare e distribuire qualcosa che riguarda il fruitore, che man mano sta diventando sempre più creatore di contenuti: passando dal guardare, al rimaneggiare o remixare sino a creare qualcosa da zero, musica, video, arti associate, sino a diventare degli insignificanti e passivi esseri utili alla matrice assoluta, ai poteri forti, ai filantropi inaccessibili, inavvicinabili e irriducibili per il loro business. E se non siamo ancora in odore di transumanesimo (movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive dell’essere umano, ndr).

Anedonia, per gli addetti ai lavori e non solo per loro.

Gli esperti stanno già parlando di “malattia da simulatore”: si tratta solo di nausea fisica, vertigini e mal di testa. Le dislocazioni psichiche si sprecano. L’intrattenimento più inutile e meno nobile assomiglia a Bach se paragonato alla cultura della dopamina. Invece di sinfonie e complessi mixtape, gli ascoltatori ascolteranno sempre più melodie brevi, supportato da inutili clip che stimoleranno reazioni compulsive. Così, tutto si sta gamificando e le cose complicando. Siamo tutti dentro, chi più e chi meno, in una zombificazione da post Silicon Valley: doomscrolling da social, trolling da artista, doxxing musicale, gaslighting di creatività. Pensiamo anche di divertirci. Le nazioni maggiormente prospere e tecnologicamente avanzate stanno soffrendo un massiccio declino della felicità.

Questo è ciò che accade quando l’anedonia (l’incapacità, totale o parziale, di provare soddisfazione, appagamento e piacere per le consuete attività piacevoli, ndr) è mascherata in una canzonetta. Il cartello degli imbonitori non lo fa Wanna Marchi, non lo esibisce Chiara Ferragni, non lo declama Fedez: lo dominano gli inavvicinabili di cui sopra. La dopamina generata dai flussi è legale. Il lusso è rimanere scollegati da tutto e tutti. In fase evolutiva, il lusso è il passo indietro.

Riccardo Sada x Sada Says x AllaDisco