Sada Says: quando la dance non è dance

(…) quando la dance non è dance (…) Il 2023 di Riccardo Sada nella sua rubricona Sada Says su AllaDisco, davvero benvenuta, inizia così.

Quando i fan di Drake hanno schiacciato play per la prima volta sulla traccia di apertura dell’album “Honestly, Nevermind” sono rimasti senza dubbio spiazzati. Dopo una raffinata intro strumentale sono stati teletrasportati in qualcosa che non era certamente nelle loro corde, una traccia, “Falling Back”, non costruito sui canonici beat dell’hip-hop e dello urban moderni bensì un groove dance con cassa in quattro quarti che appartiene più al mondo dei Major Lazer o dei Black Eyed Peas che a quello del rapper, cantante, produttore discografico e attore canadese. Se anche Drake approfondisce la sua marcia lenta nel mondo della musica da ballo, il segnale dell’interesse dell’intero comparto del pop verso la musica house ed elettronica carica di potente energia è più che evidente.

È un po’ quello che ha fatto Beyoncé in “Renaissance”, posando in paillette e con una palla a specchio, quasi a richiamare l’essenza della Disco di “Wrecking Ball” di Miley Cyrus e a preannunciare il singolo “Break My Soul”, omaggio alla house degli anni ’90 grazie anche a un doppio campionamento di “Explode” di Big Freedia e una interpolazione tratta da “Show Me Love” di Robin S nella canonica versione del dj svedese Stonebridge.

Forse è stato The Weeknd ad aver dato il via alla mania della dance con la collaborazione con i Daft Punk per “Starboy” prima e con gli Swedish House Mafia per “Sacrifice” poi e con i singoli da solista stesso come “Save Your Tears” e “Blinding Lights”. Ora, ci si chiede, cosa è oggi dance? “About Damn Time” di Lizzo. Se la trap è in ascea solo in pochi territori, se il rap puro fa fatica a reinventarsi, l’unica soluzione è optare per la dance classica, l’untz untz che fanno cassa e levare e che svegliano i commessi nelle rivendite di Abercrombie & Fitch che sembrano più disco bar che esposizioni di fast fashion.

Per abbinare, avvicinare e associare la dance e soprattutto la house alla comunità di colore, che è sempre partita dal soul, il sistema ha fatto in fretta evidenziando quanto siano complessi e con profonde radici africane quei ritmi legati alle discoteche, quasi dimenticando il movimento “Disco Sucks” nella Disco Demolition Night del 12 luglio 1979 sottolineando quanto facesse “schifo” il periodo in cui John Travolta divenne il testimonial bianco ed etero di uno stile musicale diverso. Durante l’ondata elettronica Novanta e dei primi anni 2000 la techno ripensata dai ghetti di Detroit si è fusa con quella di Moby e poi si è trasformato in una beat per le basi del rap di Eminem. Negli anni 2010, la dubstep si è fatta influenzare dalla Giamaica e ha viaggiato sino a Brixton, quindi a Londra, per poi essere rivenduta ai mega club di Las Vegas come brostep.

Quando vi dicono che Madonna non è dance, cosa potete rispondere? Che il pop non è un genere ma solo una conseguenza della fama raggiunta da una traccia o da un artista?

La dance sopravvive da quando sono nati i tamburi, indipendentemente da come la percepisce il pubblico e come, quando e quanto la sfruttino le pop star. Buona parte della dance è progettata a tavolino. In ogni genere ormai gli artisti realizzano brani come segnali di vita, come per dimostrare che sono ancora sulla cresta dell’onda, vivi e vegeti, pronti a dimostrare di essere prolifici in studio di registrazione e creativi nel music business. Siccome siamo tutti abbastanza esterofili, tranne i negazionisti e gli ipocriti, dobbiamo solo capire perché il mainstream americano oscilli così selvaggiamente tra l’amare e l’abbracciare la musica dance e il disprezzarla prendendone a volte le distanza? Non sono stati gli americani a consacrare la dance attraverso l’accoppiata  David Guetta e Black Eyed Peas esportando l’acronimo EDM in giro per il mondo? Eppure la musica dance elettronica esisteva anche prima di certe spinte comunicative.

La storia della musica dance è una storia di un impulso semplice, solo che viene espresso in modi complessi. È che ci piacciono i comparti e le etichettature che poi neghiamo. Bruce Springsteen ai suoi concerti fa muovere il culo, fa saltare, crea onde di persone ma non viene considerato dance.

Forse per essere inseriti in questo settore basterebbe una importante quantità di strumenti elettronici, ma allora a questo punto Cesare Cremonini sarebbe da considerare un guru della dance. Forse occorrono ingredienti specifici: una miscela di musica, vocazione, storia, ricerca e intenzione, sempre però con il benestare dei dj che spesso sono ingabbiati da una sorta di comfort zone chiamata loop. Il clubbing in passato è stato fondamentalmente una chiesa per i gay e  i neri ma oggi è il tempio di tutti, mentre il contesto sociale tende a essere oscurato ogni volta che un particolare stile di musica dance si sposta dall’underground al mainstream, cioè fino a quando non arriva il contraccolpo e tutto si rende maledettamente più pop.

Quando la dance non è dance, quindi?

Succede se si tratta di puro rock e non contaminato. Quando strizza l’occhio agli anni Ottanta. L’hip-hop? Sta diventando spesso hip-house facendo scontenti coloro che vedono un muro invalicabile tra la culture della dance e quella del rap. 

Il movimento EDM è stato probabilmente un concetto rave per tutti, un suono festante per grandi e piccini e confezionato in modo superbo e colorato, perfetto per i festival che abbracciano anche fruitori di stili underground. Quello che è successo dopo la lenta scomparsa della moda EDM dovrebbe insegnarci che spesso i generi si ripresentano attualizzati e rivomitati nel mercato a uso e consumo delle nuove generazioni e di quei territori che sino a poco fa erano fermi al folk.

Ma siamo in piena era post globalizzante, aspettiamoci di tutto. Make Techno Black Again, urlano in molti nel contempo. Eppure le superstar nere delle consolle stanno vivendo momenti felici nel settore e il grande pubblico le acclama a gran voce. C’è molta più comprensione e tolleranza oggi nella storia della dance e della musica in generale. Bisogna solo stare attenti agli integralisti del genere, che sono sempre annidati dietro angolo. Gli innovatori del suono stanno lavorando per tutti. Stiamo calmi.

Riccardo Sada x AllaDisco

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